Progetto

Galucio ‘d Cher

Cos’è

Il galucio è un dolcetto a forma di galletto che in origine veniva regalato ai bambini nei giorni di festa e poi, nel tempo, è diventato disponibile giornalmente nelle panetterie. Era anche prodotto con forma di buata (bambola) o carabiniè (carabiniere). Si tratta di una pagnottella con superficie zuccherata (zucchero semolato semplice, oppure zucchero caramellato) realizzata con impasto di pane arricchito con burro e zucchero, il tutto cotto in forno a legna. Il dolcetto nella versione chierese non prevedeva l’aggiunta di uova. Secondo la memoria collettiva e soprattutto secondo quanto è riportato da panettieri e artigiani che hanno prodotto il galucio dalla metà del secolo scorso, il dolcetto era prodotto con l’avanzo dei ritagli dell’impasto del pane.

Il principio stava nel recuperare ogni parte edibile, evitando che venisse sprecata, utilizzandola poi per produrre un altro bene. Infatti, fino a metà del Novecento non era ancora presente nelle campagne e nelle cittadine di provincia quello stato di benessere al quale abbiamo fatto oggi l’abitudine. Perciò, ogni materia che fosse riutilizzabile, veniva recuperata. Della presenza diffusa del dolcetto, anche fuori dalle mura cittadine, e del suo apprezzamento presso i bambini, ne è testimonianza viva una poesia in dialetto piemontese scritta da chi, a metà del secolo scorso, era nell’età più adatta per apprezzarlo:

“Ch’em n’ancord mi – vrà sta ‘l sesantesingh -, l’ultima vira che hai tastà – a Muntaud turineis, an Fornas – ël galucio dòp che magna e parin – avio fait chëusi ij ghersin – Cola pugnà d’impast – e la goenavo. – Si che r’avio spetà – pamach mesa giornà – che ‘s la mangiavo con j’ jeui. – Peuj, peuj – col tochet butà ‘d trapòs – ficà se dioveur an forn – tut për nojait – e con na frisa ‘d butir e sucher – anvërtojà, sbërgnacà – che a-j dasio la forma d’un galucio.- Cò a j era ‘d pì bon – ëd sa galuperia cita! – E ciamovo poch a la vita, – antlora. Peri i disia mentri mè novod a rija – con en man en tòch – d’la fogassa ‘d Cher. – Ciorchi che bona …- numinà e carestiosa – fin che t’euri e faita – dl’istessa pasta – dël galucio!”.
Adriana Comollo, 1963-2011.

Perchè il Gallo

In alto, la pietra sepolcrale della famiglia Maga-Gallo. Qui sopra, la pietra sepolcrale di Giacomo Gallieri. Sotto, lo stemma della famiglia Gallieri.

Il significato del gallo si perde nella notte dei tempi. Nell’immaginario collettivo la figura è associata all’annuncio del giorno che supera le tenebre. È il gallo che annuncia all’uomo che la notte è terminata e sta sorgendo il sole sul nuovo giorno: il buio della notte e le tenebre sono sconfitti. Per questo motivo il gallo è anche simbolo di risurrezione, cioè della nuova vita. Il gallo è anche il simbolo della predicazione, strumento nelle mani dei prelati usato per diffondere la via della salvezza; non a caso la figura di un gallo di latta spesso la si trova sulla cima dei campanili di alcune chiese, al punto che anche Nino Costa nel 1923, ne ricorda l’esistenza in una delle sue poesie (Ël galucio):

“An sla ponta dël ciochè j’è un galucio, caparucio, fàit ëd tòla piturà: tuta quanta la giurnà chiel a gira, chiel as vira da la part che ‘l vent a tira. Ël paisan d’an mes dla piassa, quand ch’a passa, minca tant a guarda an su, e a s-n-antaja – su per giù – come ‘l temp a varierà da la mira che ‘l galucio a l’è voltà – Col galucio fait ëd tòla l’è pa tant na bestia fòla: chiel a sa che a l’è sempre bin piassà col ch’as vira da la part che ‘l vent a tira, e, guardand da so cioché, chiel a vèd sël marciapè tanta gent, pien-a ‘d babìa ch’a jë smija, ch’a veul nen ch’a sia dla dita ma ‘nt la vita – gira ‘d sa, gira ‘d là – l’ha l’istess teoria dël galucio piturà”.

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